Descrizione
“Chi ricorda è poeta“ sostiene Saverio Caruso, e continua “sono consustanziali l’una all’altra, l’arte e la memoria”. Il poema ha una vita, anzi ha più vite interiori “che hanno dimora in una memoria senza fondo in cui si penetra e ci si perde per rinascere”.
Cosa ha indotto l’autore a intitolare, piuttosto enigmaticamente, il suo lavoro sul ricordo a “l’inconsapevole sorriso”? Cosa lega il sorriso inconsapevole al ricordo e al ricordare?
Posso arrischiare un’ipotesi. Mi è accaduto di notare, a proposito del suo libro L’ospite luminoso, che Saverio Caruso lo ha concepito e formato come creatura. Ma anche questo sul “ricordo” si svela, mano a mano che leggiamo, un libro-creatura, amorosamente allevato. E la creatura non è tale da suscitare l’inconsapevole sorriso, un sorriso incomprimibile, in chi la contempla e la cura?