Alessandro Carandente, nato a Quarto (Napoli) il 1958, si è laureato in Filosofia con una tesi in Estetica su Charles Baudelaire, Il sacrificio come gioco; ha conseguito, in collaborazione con l’Università “François Rabelais” di Tours, un dottorato di ricerca in italianistica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”. Attualmente insegna Materie Letterarie presso l’ISIS “Rita Levi Montalcini”.
Poeta, critico letterario e narratore ha pubblicato: Passo vegliante (Napoli 1982), Variazioni di parola (Salerno 1984), Extravaganze, ecrivoci, screzi d’alfabeto (Napoli 1992), Il supplente (Napoli 1994), Corpo in vista (Napoli 1995), Il turno (Napoli 1996), Bon ton bonsai bonbon (Napoli 2001) Specchio d’oblio (Bollate-Milano 2001), Il paradosso dell’evidenza (Napoli 2002), con Cosimo Budetta, Se un oplita fa oplà, Ogopogo, Agromonte (Pz) 2005, Napoli e altri racconti di un precariota (Napoli 2006), Risveglianze (Napoli 2007), Premio Minturnae per la poesia; con Antonio Baglivo, dopo i banchetti (Ibridilibri, Bellizzi 2008), Giuseppe Pontiggia, dalla scoperta dei classici alla critica del linguaggio, (Napoli 2019), A Punta Epitaffio mi faccio un tuffo (Napoli,2020).
Ha tradotto dal francese À la lisière du temps (Al limite del tempo) di Claude Roy (Salerno 1989), Rob Shazar, appunti e disegni di Giuseppe Bilotta (Napoli 1993) e di Paul Hazard, Giacomo Leopardi, (Napoli 2016).
Figura invece tra i curatori dell’antologia In my end is my beginning, poeti italiani degli anni Ottanta/Novanta (Salerno 1992). È presente in varie antologie tra cui Coscienza & evanescenza, poeti italiani degli anni Ottanta (Napoli 1986); Poesia italiana della contraddizione (Roma 1989); La parola negata, rapporto sulla poesia a Napoli (Campobasso 2004), a cura di Mario M. Gabriele.
Dirige dal 1997, la rivista di letteratura e arte Secondo Tempo, giunta al libro cinquantasettesimo. Come critico ha scritto articoli e saggi su Elpidio Jenco, Franco Cavallo, Gianni Scognamiglio, Tommaso Dell’Era, Giovanni Carandente, G. Battista Nazzaro, Rubina Giorgi, Giuseppe Pontiggia, Alfonso Malinconico, Emilio Villa, Sebastiano Vassalli e Mario Perniola.
Sin dall’esordio si è connotato per la tecnica scaltrita e la consapevolezza teorica del fare poesia. Sotto l’apparente patina di lacca lirica c’è la riflessione critica e il momento speculativo del linguaggio che si interrogano senza sosta sul proprio fare poetico. L’esplosione ritmica è frenata dalla pausa riflessiva, dalla tensione del dire. Lungi dal consegnarsi ingenuamente alla positività dei significati in atto, avanza là dove non si può più andare, in quella terra incognita dove il senza nome cerca nuove relazioni per esistere.
A partire da Ecrivoci, extravaganze, screzi d’alfabeto, Il supplente precariota e Bon ton bonsai bonbon, Per chi suona la gabbana? invece, il linguaggio ha invertito bruscamente la rotta; dall’azzeramento ha viaggiato verso l’esterno con cui non ha mai smesso di dialogare, in euforica contaminazione, e di reagire all’alienazione consumistica in atto con l’insorgenza del gioco traslattivo e la freschezza del paradosso dell’evidenza.